Un’altra storica sentenza della Cassazione mette finalmente il punto in questa annosa questione lavorativa, chiarendo la legge una volta per tutte.
Il mondo del lavoro può sembrare quasi un mondo a sé stante, rispetto alla vita quotidiana, separato da tutto il resto. Si timbra il cartellino e si ritorna a vivere, lavorare è solo una parentesi di qualche ora, prima di tornare alla propria vita.

Lavoro e vita quotidiana, due realtà divise eppure collegate, l’una influente sull’altra, anche se non sempre esiste una correlazione chiara e diretta. Motivo per cui, anche sul lavoro e anche, soprattutto, dai datori di lavoro, vanno rispettate alcune regole di buona convivenza e buona decenza.
Il risarcimento per andare in bagno, la Cassazione ha deciso
Una recente sentenza della Corte di Cassazione, per esempio, ha rinforzato questo ultimo pensiero, cioè la necessità di rispettare determinate regole sociali. È successo grazie a un grave incidente hai danno di un lavoratore, che si è trovato a chiedere un risarcimento alla propria azienda.

Tutto inizia in una giornata qualsiasi, durante un turno qualsiasi, in un’azienda qualsiasi, alla fine i particolari della vicenda non sono realmente necessari. Sta di fatto che un lavoratore si è trovato nell’impossibilità di andare in bagno perché secondo la prassi aziendale serviva l’autorizzazione del team leader.
Un adulto che deve chiedere il permesso per andare in bagno, ma se questo non fosse già abbastanza strano, tranquilli, c’è dell’altro. Non solo i team leader non si sono degnati di rispondere, ma le richieste sono state ignorate fino a che l’uomo non è stato capace di trattenerla.
Un incidente umiliante, seguito da un trattamento anche peggiore, l’uomo è stato obbligato a cambiarsi d’abito in un corridoio, quindi davanti a tutti e addio privacy. Neanche l’umana decenza di aprire una stanza vuota o come richiesto dall’uomo, l’infermeria, per garantire quel minimo di protezione necessaria a mantenere la morale comune.
Un caso questo che ha scosso l’opinione pubblica e aperto un dibattito su cosa significhi davvero avere un ambiente di lavoro sicuro e rispettoso. Anche i giudici di primo e secondo grado interpellati durante la vicenda non hanno avuto dubbi: l’azienda aveva mancato gravemente al proprio dovere.
Si tratta, peraltro, dell’articolo 2087 del Codice Civile, che impone al datore di lavoro di applicare le misure previste dalla legge, ma non solo. Obbliga anche il datore di lavoro a intervenire quando lo richieda il buon senso, la logica o semplicemente il rispetto umano sul posto di lavoro.
Al dipendente è stato riconosciuto un risarcimento di 5.000 euro per il danno alla dignità, su cui l’azienda ha anche deciso di fare ricorso. Ma è stata proprio la Corte di Cassazione ha rifiutare il ricorso reputandolo inammissibile, proprio per la lesa dignità umana del lavoratore.